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L’alimentazione incontrollata e la psiche

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Tutti possono avere discrete conoscenze sull’educazione alimentare. Fin dai banchi delle scuole elementari si insegnano alcuni concetti come il fabbisogno giornaliero di calorie, il regime dietetico e altri concetti inerenti all’alimentazione. Eppure, nonostante ciò, spesso tutto questo resta solo sulla carta, perché non agevole seguire e soprattutto rispettare un regime nutrizionale adeguato. Come mai? Proviamo a fare chiarezza in questo articolo che riprende le considerazioni della dott.ssa Gabriella Caruso.

Il significato emotivo del cibo

La prima domanda da porsi sarebbe: che significato ha per noi mangiare? Perché assumiamo questi cibi in un determinato momento della nostra vita? Una cosa è certa: il cibo è un nostro compagno di vita fin dalla nascita, è fonte di vita, di nutrimento e non solo quello. Spesso ha un valore semantico che supera gli aspetti nutritivi.

Come ha scritto Proust a proposito delle Madeleine, ci sono degli alimenti che hanno un senso emotivo e profumano di ricordi. Per esempio, il dolce preferito quando si era piccoli, la pietanza preparata da una figura importante per noi, quel tipo di merenda che condividevamo con l’amico del cuore. Certo, poi si cresce, i legami si allentano e tutto ciò che è intorno a noi evolve, eppur il cibo non cambia mai, resta sempre lo stesso e alberga in noi grazie ai ricordi che evocano momenti felici. Quindi, quando le cose vanno male, le persone ci feriscono o le situazioni ci trasmettono ansia, ecco che il mangiare ci conforta apparentemente e nell’immediato.

Il cibo per colmare necessità emotive

Si tratta di un tema che è stato trattato spesso. In letteratura esistono varie tesi che provano a dimostrare lo stretto rapporto tra il cibo e la vita affettiva. Secondo alcuni importanti studiosi con l’approccio al cibo si esprime un bisogno d’amore. Ed ecco che il mangiare diventa un anestetico per non sentire più dolore, una scorciatoia verso la psiche e non verso lo stomaco per riempire il vuoto che è dentro di noi.

Non deve assolutamente sorprendere questa conclusione. L’amigdala, l’ipotalamo e ingenerale il sistema limbico contribuiscono alla regolazione del comportamento alimentare, sessuale e nell’esprimere emozioni di rabbia e paura. Come già scritto in questo articolo sul rapporto tra eros e alimentazione, queste basi anatomiche spiegano la stretta relazione che intercorre tra l’atto di alimentarsi e la sfera della sessualità oltre alla forte centralità che hanno le emozioni su queste due dimensioni del comportamento umano.

Mangiamo dunque per modulare i nostri stati emotivi spiacevoli per tentare di placarli, colmarli, modificarli, attraverso sensazioni piacevoli derivanti dal cibo; si parla infatti di comfort food, cibo confortevole, che rassicura.

Non è una soluzione, ma un problema serio

Quando questa soluzione diventa prassi, allora nasce un problema. Il motivo è semplice: ci si convince che l’assunzione di cibo sia la panacea a tutti i mali che ci circondano e che rendono la nostra vita infelice. In realtà non stiamo bene, stiamo solo cercando di aggirare il un ostacolo nel modo sbagliato. Ed ecco che la soluzione diventa a tutti gli effetti un problema, perché il cibo non è più fonte di conforto, ma senso di colpa.

Come si può affrontare tutto ciò? L’ideale sarebbe approntare tecniche di psicologia cognitiva per agire sui pensieri e comportamentale per agire sulle azioni. Un percorso con uno psicoterapeuta può portare a risultati davvero efficaci per arginare il circolo vizioso della sofferenza-abbuffata-maggiore sofferenza.

Appena riconosciamo l’impulso a mangiare un determinato alimento, le prime cose da chiedersi sono queste:

  • che cosa sto pensando in questo momento?
  • come mi fa sentire questo pensiero?
  • sono preoccupata/o, sono in ansia, triste?

Rispondere a queste domande non è facile, perché spesso facciamo fatica a fermarci un attimo, eppure bisogna trovare il tempo di farlo, dal momento che può rivelarsi molto utile per regolare le nostre azioni.

Come ha scritto la dott.ssa Caruso: “È proprio su questi meccanismi di reiterazione e gestione dell’emotività che il lavoro terapeutico psicologico si inserisce come coadiuvante al lavoro medico dietologico e ne garantisce l’efficacia nel tempo attraverso un approccio integrato, che tenga in debita considerazione le implicazioni psicologiche legate ad un’alimentazione incontrollata”.

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